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Cranberry nel trattamento delle infezioni urinarie


Nelle donne, le infezioni urinarie sono molto frequenti. Secondo le stime, circa un terzo delle donne ha avuto almeno un’infezione urinaria nel corso della vita ( nella maggior parte dei casi si tratta di cistite ) ed il 20% di queste ha manifestato anche un secondo episodio.
Sono diverse le cause di recidiva; nelle donne giovani, il fattore determinante è di solito riconducibile all’attività sessuale.

Per la cura delle infezioni urinarie recidivanti, vengono molto reclamizzati gli integratori alimentari a base di cranberry.

Il cranberry ( Vaccinium macrocarpon ) è un piccolo arbusto di origine nord-americana, molto simile al mirtillo dal punto di vista botanico, che produce dei frutti rossi dal sapore acidulo e aspro. Gli indiani d’America utilizzavano comunemente queste bacche per curare le ferite cutanee e per prevenire e trattare le infezioni urinarie e lo scorbuto.

Le bacche del cranberry contengono flavonoidi, antocianosidi, oligomeri proantocianidolici, acido benzoico e altri acidi organici che hanno proprietà antibatteriche.
Studi hanno infatti dimostrato che queste sostanze hanno la capacità di rendere antiadesiva la superficie delle mucose, e pertanto di inibire l’adesione cellulare dei vari batteri patogeni responsabili delle infezioni urinarie, fra cui l’Escherichia coli.

Una revisione condotta da un gruppo del Cochrane Network ha valutato tre studi comparativi randomizzati sul succo di cranberry per la prevenzione delle infezioni urinarie.
Due di questi studi sono stati condotti in donne giovani o che presentavano una normale attività sessuale.

Uno studio non in cieco è stato realizzato in Finlandia su una popolazione di 150 donne giovani che avevano già presentato almeno un episodio d’infezione urinaria da Escherichia coli. Le pazienti dovevano prendere 50 ml al giorno di succo di cranberry o di lingonberry ( un altro tipico frutto di bosco dalle bacche rosse ) per 6 mesi, o 100 ml di una sospensione orale a base di Lactobacillus per 5 giorni alla settimana nel corso di un anno, o nessun trattamento preventivo.

Il secondo studio, condotto in Canada su 150 donne dai 21 ai 72 anni con una normale attività sessuale e che avevano manifestato almeno due episodi di cistite acuta, ha confrontato, nel corso di un anno, in doppio cieco, il cranberry in compresse ( 2 volte al giorno, dosaggio non precisato ) + succo di frutta placebo ( 3 volte al giorno ), versus succo di cranberry + compresse placebo, versus doppio placebo.

I risultati dei due studi sono stati molti simili.
La metanalisi ha mostrato che l’incidenza di infezioni urinarie a 12 mesi è stata significativamente inferiore nei gruppi in trattamento con cranberry rispetto ai gruppi di controllo.
Nei gruppi trattati, c’è stata almeno un’infezione urinaria nel 21% delle donne versus il 37% dei gruppi di controllo.
In media, trattare 100 donne nel corso di un anno ha permesso di evitare almeno un’infezione urinaria nelle donne tra i 15 ed i 33 anni.

I dosaggi quotidiani impiegati sono stati, in un caso, di 7,5 g di concentrato di frutto disciolto in 50 ml di acqua, nell’altro di 750 ml di succo di frutta o di 2 compresse di concentrato ( dosaggio non precisato ).

Nessuno studio ha confrontato il consumo di cranberry con l’adozione di misure igieniche maggiori.

Un altro studio comparativo randomizzato in doppio cieco ha confrontato il succo di cranberry versus placebo in una popolazione di 153 donne anziane con in media 79 anni di età, le quali vivevano presso una casa di cura negli Stati Uniti.
Il criterio di valutazione principale, non clinico, è stato la comparsa di batteriuria ( almeno 105 di colonie per ml ).
Lo studio è stato finanziato da un’azienda produttrice di succo di cranberry.
Al termine di un ciclo di sei mesi, l’incidenza di batteriuria con leucocituria è stata del 15% nel gruppo cranberry versus 28% nel gruppo placebo ( p=0.05 ).

Se da una parte gli studi fino ad oggi ultimati mostrano una certa efficacia di questo prodotto sul rischio di recidiva di cistite, dall’altra ci sono alcune preoccupazioni riguardo il profilo di sicurezza. Infatti sono state registrate diverse segnalazioni che fanno presagire la possibile interazione tra cranberry e Warfarin ( Coumadin ), un’antivitamina K.

Prima nel settembre 2003, poi nell’ottobre 2004, il Committee on Safety of Medicines del Regno Unito ha pubblicato un avviso sulla possibile interazione tra Warfarin e succo di cranberry.
Nell’ottobre del 2004, le autorità inglesi avevano ricevuto 12 segnalazioni di interazioni sospette tra il farmaco e il frutto. Otto casi ( uno dei quali fatale ) dei 12 segnalati riportavano un aumento nel Rapporto Internazionale Normalizzato ( INR ) e/o episodi di sanguinamento, in tre casi l’INR è risultato instabile, e in un solo caso l’INR è diminuito. Nel caso fatale, l’INR del paziente, in precedenza stabile, è aumentato ( INR > 50 ) dopo 6 settimane di consumo del succo. Il paziente è deceduto per emorragia pericardica e gastrointestinale. In un altro caso, in un paziente con protesi della valvola mitralica in trattamento con Warfarin, è stato rilevato un INR elevato 2 settimane dopo che egli aveva iniziato ad assumere succo di cranberry ( quasi 2 L/die ). L’intervento conseguente ha portato delle complicazioni dovute a sanguinamento postoperatorio.

In teoria, l’interazione tra succo di cranberry e Warfarin è biologicamente plausibile: il warfarin viene solitamente metabolizzato dal citocromo P450 ( CYP2C9 ) e il succo di cranberry contiene flavonoidi, che inibiscono gli enzimi CYP.

Le segnalazioni provenienti dal Regno Unito hanno sollevato ovunque serie preoccupazioni sull’interazione tra il frutto e il farmaco. In America, è stata condotta una ricerca nella letteratura scientifica internazionale sul tema e sono stati identificati tre case report peer-reviewed e due studi clinici peer-reviewed randomizzati, prospettici, controllati versus placebo in cui venivano impiegati surrogati metabolici del Warfarin ( Flurbiprofene e Ciclosporina ) ed i quali descrivevano le possibili interazioni tra Warfarin e succo di cranberry.
Due case report suggerivano che il succo aumentava l’INR dei pazienti in trattamento con Warfarin, ma nessuno dei due casi identificava il cranberry come la sola causa di aumento dell’INR. Uno dei case report mostrava una correlazione tra gli effetti del succo e il metabolismo del Warfarin. I due studi clinici indicavano la mancanza di interazione tra il succo di cranberry e gli isoenzimi CYP 2C9 e 39, entrambi necessari nel metabolismo del Warfarin.

I dati disponili non mostrano, pertanto, un’interazione clinicamente rilevante tra il frutto e il farmaco; tuttavia, i pazienti che assumono Warfarin in concomitanza col succo di cranberry devono fare molta attenzione alla potenziale interazione e monitorare attentamente eventuali modifiche nell’INR e segni e sintomi di sanguinamento.

Conclusioni

I risultati della valutazione sul succo di cranberry sono concordanti: gli studi mostrano che nelle donne giovani, il consumo quotidiano, in compresse o in forma di liquidi, previene in parte le recidive di cistite acuta, in particolare quelle dovute a Escherichia coli.
La posologia quotidiana ottimale è incerta: 7,5 g di concentrato disciolto in 50 ml di acqua, o 750 ml di succo di frutta, o 2 compresse di concentrato del frutto.
Il principale inconveniente noto dovuto al consumo di cranberry è il rischio di interazione con un’antivitamina K, che comporta gravi emorragie. I pazienti trattati con l’antivitaminico devono essere informati di questo rischio legato al consumo di succo o compresse a base del frutto, di solito assunti in regime di automedicazione. Devono quindi essere avvisati di consumarne in maniera regolare monitorando l’INR. ( Xagena2007 )

Fonte : BIF- Bollettino d’Informazione sui Farmaci, 2007


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