L’incidenza di malattie cardiovascolari, ( infarto del miocardio e malattia coronarica ), mentre nelle donne sotto ai 50 anni risulta inferiore rispetto agli uomini della stessa età, tende a salire rapidamente dopo la menopausa, per raggiungere valori doppi rispetto alle donne in premenopausa (1).
L’aumento del rischio cardiovascolare è più evidente nelle donne in menopausa precoce (sotto ai 45 anni) con un rischio relativo post-premenopausa di 6:1, e tende a decrescere con l’aumento dell’età.
Lo studio Nurses’ Health (2) ha sottolineato il ruolo della ovariectomia bilaterale nel determinare un aumento del rischio cardiovascolare nelle donne, riscontrando come soprattutto la menopausa chirurgica aumenti il rischio di patologia cardiovascolare. Questo fenomeno può essere attribuito alla improvvisa caduta dei livelli estrogenici indotta dalla menopausa chirurgica rispetto alla menopausa fisiologica, dove i livelli di estrogeni decrescono gradualmente per parecchi anni prima di raggiungere livelli molto bassi. L’aumento di incidenza di malattia cardiovascolare post-menopausale è stato messo in relazione con le importanti modificazioni connesse con la fine dell’effetto protettivo degli ormoni ovarici (3,4); si verifica infatti un aumento della frequenza di ipertensione arteriosa, modificazioni in senso aterogeno del metabolismo lipidico (aumento colesterolo LDL, riduzione colesterolo HDL, aumento dei trigliceridi, aumento Lp(a)), alterazione in senso protrombotico del sistema emocoagulativo (aumento del fibrinogeno, fattore VII, fattore VIII, PAI-1), nonchè incremento dell’omocisteina, che è ormai riconosciuta fattore di rischio aterogeno e trombogeno di notevole rilievo.
Il ruolo dell’iperomocisteinemia come fattore indipendente di rischio aterosclerotico è stato ormai ampiamente stabilito, in tempi recenti, da numerosi studi clinici ampi e prospettici (5-9).
La relazione fra iperomocisteinemia e rischio cardiovascolare si rende evidente per valori di omocisteina superiori a 15 µmol/litro (10) e aumenta gradualmente, senza manifestare un effetto soglia. Una metanalisi di 27 studi ha mostrato che un incremento di 5 µmol/litro di omocisteina plasmatica aumenta il rischio cardiovascolare di 1.6 volte (95% C.I., 1.4-1.7) per gli uomini e di 1.8 volte (95% C.I., 1.3-1.9) per le donne (11).
La terapia estrogenica sostitutiva sembra essere in grado di contrastare gli effetti sfavorevoli della menopausa su vari fattori di rischio per malattia aterosclerotica.
Il meccanismo sarebbe da ricercare nell’effetto degli estrogeni sul metabolismo lipidico (riduzione di colesterolo LDL, aumento del colesterolo HDL, riduzione della Lp(a)), nella riduzione della pressione arteriosa, e nelle modificazioni indotte sui fattori emostatici (riduzione del fibrinogeno, aumento del fattore VII, riduzione del PAI-1), e riduzione dell’omocisteina plasmatica.
Il trattamento estrogenico sostitutivo in donne non isterectomizzate (12,13) ha determinato una riduzione dell’omocisteina plasmatica variabile fra il 16.9 ed il 12.3% nelle donne con livelli alti di omocisteina, anche se è stato osservato un ritorno ai livelli basali dopo sei mesi di terapia sequenziale.
Contemporaneamente sono state rilevate una riduzione del colesterolo totale, del colesterolo LDL, un aumento del colesterolo HDL e della apolipoproteina A-I e dei trigliceridi. Lo Studio Framingham (1) ha mostrato una riduzione del rischio relativo di mortalità (0.4) nelle donne di età inferiore a 60 anni sottoposte a terapia estrogenica sostitutiva (HRT). Una riduzione di entità simile è stata ottenuta nel "Lipid Research Clinics Program Follow-up Study" (14).
il Nurses’ Health Study (2) riporta con HRT una riduzione del 50% del rischio di infarto del miocardio fatale e non fatale in donne di età inferiore ai 50 anni in trattamento sostitutivo. Un simile risultato significativo è stato riscontrato dal Cardiovascular Health Study (15). Il rischio di malattia cardiovascolare risultava ridotto del 12% nell’intero campione di donne in terapia con estrogeni, e del 26.5% nelle donne con evidenza precoce di alterazioni cardiovascolari (aumentato spessore della parete carotidea e aumento della massa ventricolare sinistra) al momento dell’arruolamento.
Alcuni Autori, infine, suggeriscono inoltre che la supplementazione con folati, metabolizzati in vivo nella forma attiva acido 5-metiltetraidrofolico, possa essere utilizzata con successo nel trattamento dell’iperomocisteinemia legata alla menopausa (3), permettendo probabilmente una normalizzazione dei valori più prolungata nel tempo rispetto alla terapia estrogenica.
I supplementi dietetici di folati si sono rivelati infatti efficaci nel ridurre le concentrazioni di omocisteina plasmatica, con un effetto tanto maggiore tanto più alte sono le concentrazioni di omocisteina plasmatica o tanto più basse sono le concentrazioni di folati plasmatici prima del trattamento (16).
Bibliografia
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Patrizia Magnani
Specialista in Chirurgia Plastica, Pavia
Xagena 1999