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Studio RUTH : il Raloxifene nelle donne in postmenopausa ad alto rischio di eventi coronarici maggiori


Lo studio RUTH ( Raloxifene Use for The Heart ) ha come obiettivo quello di valutare se il Raloxifene ( Evista ) (60 mg/die) sia in grado di ridurre il rischio di eventi coronarici (morte per cause coronariche, infarto miocardico non fatale, sindromi coronariche acute) e di diminuire il rischio di tumore invasivo della mammella nelle donne a rischio di un evento coronarico maggiore.
Il Raloxifene è un modulatore selettivo del recettore dell'estrogeno (SERM ) che ha già dimostrato di migliorare i fattori di rischio cardiovascolare, di ridurre il rischio di fratture delle vertebre e sembra essere associato ad una ridotta incidenza di carcinoma invasivo mammario nelle donne in postmenopausa affette da osteoporosi.
Lo studio multicentrico viene eseguito in 26 Paesi ed ha arruolato 10.101 donne tra il giugno 1998 e l'agosto 2000.
Circa la metà delle donne entrate nello studio (n=5.031) aveva una documentata malattia coronarica, mentre le altre donne (n=5.070) presentavano diversi fattori di rischio per la malattia coronarica.
L'età media delle partecipanti era di 68 anni e nel 39% dei casi le donne avevano più di 70 anni.
La maggior parte delle donne era caucasica (84%); il 60% aveva un indice di massa corporea uguale o superiore a 27 kg/m2; il 46% aveva il diabete; il 78% aveva ipertensione sistemica, ed il 14% aveva il colesterolo LDL superiore a 160 mg/dl.
Rispetto alle donne ad aumentato rischio di malattia coronarica, le donne con documentata coronaropatia presentavano una più alta incidenza di ECG anomali , assumevano un maggior numero di farmaci cardiovascolari , e più frequentemente avevano fatto uso di estrogeni o di contraccettivi orali, ma avevano una prevalenza leggermente minore di fattori di rischio per la malattia coronarica, come: abitudine al fumo, obesità, diabete mellito ed ipertensione sistemica, ed avevano più bassi livelli sierici di colesterolo totale e di colesterolo LDL. ( Xagena2002 )

Kass Wenger N et al, Am J Cardiol 2002; 9 0: 1204-1210


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